Il bisogno ossessivo di condivisione nella società dei “Like”.

Il bisogno ossessivo di condivisione nella società dei “Like”.

La ricerca ossessiva dei “Like” può influenzare la percezione di come siamo, della nostra persona e dell’immagine che trasmettiamo agli altri e avere ripercussioni sulla nostra autostima. 

La società di oggi, caratterizzata dalla presenza delle tecnologie e dei social media, ci ha risucchiato nel bisogno costante di apparire, condividere e ricercare un “Like” in ogni sfera della nostra quotidianità.

Cantelmi (2013), riprendendo il concetto di “società liquida” del sociologo Bauman, ha introdotto il termine di “tecno-liquidità” per descrivere l’impatto che la digitalizzazione ha sulla mente umana; l’autore parla di una società incessante, sempre intenta a condividere e digitare, in cui la virtualizzazione della realtà comporta una pervasiva tecno-mediazione delle relazioni e che esalta le caratteristiche dell’uomo quali narcisismo, velocità, ambiguità e ricerca di emozioni.

Se, da un lato, i social media possono essere uno strumento utile per facilitare le interazioni umane, dall’altro, la ricerca ossessiva dei “Like” può influenzare la percezione di come siamo, della nostra persona e dell’immagine che trasmettiamo agli altri e avere ripercussioni sulla nostra autostima. Soprattutto per giovani e giovanissimi la ricerca di approvazione, tipica dell’adolescenza e della pre-adolescenza, può comportare vissuti di inadeguatezza e scarsa autostima, nonché tentativi di emulazione di modelli di comportamento e atteggiamenti dei cosiddetti “influencer”, che propongono contenuti in cui i ragazzi possono identificarsi o stili di vita che soddisfano il loro bisogno di appartenenza e  riconoscimento; l’imitazione di tali modelli può avere anche gravi conseguenze sul loro equilibrio psicologico, e sulla loro salute psicofisica (es. i fenomeni della “challenge”, emulare comportamenti antisociali o modelli di magrezza o di bellezza, oppure fenomeni di cyberbullismo e vittimizzazioni ecc.).

Immagine decorativa dell'articolo di Eleonora Zucchetti "Il bisogno ossessivo nella società dei like" - mucchio di dadi con icone social sulle facce

Abbiamo parlato dei rischi che corrono i giovani e giovanissimi in rete e di quali possono essere le potenziali conseguenze di una sovraesposizione su di loro, ma cosa succede quando a condividere sono i loro genitori?

Per “sharenting” si intende la condivisione  di immagini e video di bambini, spesso piccolissimi, da parte dei loro genitori. Questa pratica può esporre i figli a conseguenze molto gravi sia dal punto di vista della loro autostima, in quanto l’esposizione continua ai giudizi, sia positivi che negativi, può influenzare l’immagine che i bambini, soprattutto quelli più grandi,  hanno di se stessi, ma anche influire sulla loro personalità.

Esporre i minori sui social comporta, inoltre, una violazione della privacy perché spesso i bambini sono troppo piccoli per capire che saranno protagonisti di video o foto che lasceranno tracce sul web e verranno visualizzati da moltissime persone.

E’ necessario sottolineare, infine, che le foto e i video dei minori possono essere utilizzate e manipolate per produrre materiale pedopornografico e che i bambini possono essere avvicinati dai pedofili online tramite tecniche di adescamento, creando con loro un rapporto di fiducia ed empatia.

E’ importante che gli adulti tutelino e proteggano i più piccoli dai rischi di internet (pedofilia, cyberbullismo, emulazioni di comportamenti pericolosi o non salutari), che possono comportare gravi conseguenze sul loro sviluppo psicofisico, relazionale ed emotivo e incidere sulla formazione della loro personalità, della fiducia in se stessi e negli altri.

Ricordiamoci che l’esposizione incontrollata dei ragazzi sui social, soprattutto di quelli più fragili, può mettere in pericolo la loro salute fisica e mentale.

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